Diario
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Ma che adavero?

Leggo e condivido:

Purtroppo tutto come previsto. Basta collegarsi al sito della ministeriale Direzione cinema per scoprire come stanno agendo le famose commissioni cinema nominate dall’ex ministro Giancarlo Galan un attimo prima di andarsene dai Beni culturali. Cioè male. A novembre i lettori del “Secolo XIX” sono stati i primi ad essere informati della bizzarra composizione di quei consessi di “esperti” che amministrano, solo alla voce produzione di film di qualità, tra i 18 e i 25 milioni di euro all’anno.
Perché bizzarra? Perché vi figurano – ricorderete – mogli celebri, tutte di area Pdl: come Antonia Postorivo, consorte del barone Antonio D’Alì Solina, attuale presidente della commissione Ambiente del Senato; come Valeria Licastro Scardino, che fu segretaria particolare di Fedele Confalonieri negli anni Novanta e oggi consorte dell’ex deputato Antonio Martusciello nonché commissario Agcom; come Anselma Dell’Olio, consorte di Giuliano Ferrara, ma almeno lei si occupa di cinema. Per non dire degli altri, pescati perlopiù tra amici e conoscenti, quasi una succursale della trasmissione “Cinematografo” di Gigi Marzullo.
Il neoministro Lorenzo Ornaghi avrebbe potuto, anzi dovuto, azzerare tutto. Purtroppo non l’ha fatto. Perché? Il risultato s’è subito visto. Soldi perlopiù ai soliti noti, con la scusa dei meccanismi automatici legati alla riforma che fece l’allora ministro Urbani, detta reference-system, in base alla quale contano molto i punteggi, cioè la forza produttiva di chi presenta il progetto, e poco, in percentuale, la qualità del copione e della storia.
Ecco qualche esempio. Senza nulla togliere al prestigio dei cineasti coinvolti, c’era proprio bisogno di concedere contributi per 800 mila euro a “Educazione siberiana” di Gabriele Salvatores, 700 mila a “Venuto al mondo” di Sergio Castellitto, 650 mila a “Posti in piedi in Paradiso” di Carlo Verdone? Il primo, targato Cattleya per un costo di 11 milioni di euro, è girato in inglese e sfodera John Malkovich nel cast; il secondo, targato Medusa per un costo di oltre 13, è interpretato da due nomi internazionali come Penélope Cruz e Emile Hirsch; il terzo, targato De Laurentiis per un costo di quasi 8 milioni, è una commedia, appunto, di e con Verdone. C’è da ringraziare, a questo punto, i produttori della Wildside: per “Io e te” di Bernardo Bertolucci hanno chiesto solo il riconoscimento di interesse culturale nazionale, ovvero il pallino verde senza esborso di soldi. Idem per “Benvenuti al Nord” e “Immaturi – Il viaggio”.
Poi, però, a scorrere la tabella verso il basso scopri che titoli sulla carta di qualità, certo meritevoli di aiuto ben più dei big sopracitati, non hanno trovato accoglienza perché “non rientrano nelle risorse disponibili per la seduta” dello scorso 22 dicembre, cioè all’incirca 3 milioni e mezzo di euro. Cassati quindi “Nessuno mi pettina bene come il vento” di Peter Del Monte, “Vino dentro” di Ferdinando Vicentini Orgnani o “Sunday O.
L’uomo dei tamburi” di Alex Infascelli: tre autori non proprio inconsistenti, anche se magari i loro film precedenti non hanno fatto sfracelli al botteghino. Ma se l’unico criterio fosse quello degli incassi perché mai il ministero ai Beni culturali dovrebbe co-finanziare film più rischiosi, meno in sintonia con i gusti correnti? In fondo senza il sostegno pubblico film come “Il Divo”, “Gomorra” o “L’uomo che verrà” non si sarebbero potuti fare.
Perplessità vengono anche dalle iniziali scelte compiute sul fronte delle opere prime e seconde. Alessandro Gassman è certo attore eclettico e ben ammanicato, corteggiato dalla pubblicità, pure direttore di un Teatro stabile oltre che da poco “Iena” televisiva. Magari i 200 mila euro dati al suo “Roman e il suo cucciolo” potevano essere dirottati su chi ha più bisogno di aiuto.
Proprio martedì, su queste pagine, abbiamo rivelato la brutta storia della triplice bocciatura ricevuta, tra il 2007 e il 2009, dal più che onorevole esordio “Sulla strada di casa” di Emiliano Corapi, nonostante la presenza di attori come Vinicio Marchioni, Claudia Pandolfi, Daniele Liotti, Donatella Finocchiaro. Due pesi due misure? Sviste ministeriali? Sponsor poco introdotti presso la commissione di allora, suppergiù la stessa di adesso? Vai a sapere.
Naturalmente, lavorando i commissari su copioni e non su film già girati, l’errore è sempre in agguato. La sottovalutazione anche. Ma proprio per questo bisognerebbe agire con saggezza, sapendo che certi film ultra-garantiti sul piano produttivo e distributivo, tipo appunti quelli di Salvatores, Castellitto e Verdone, non meritano un ulteriore sostegno pubblico. Tanto più, a essere onesti, quel “Marco d’Aviano” di Renzo Martinelli, regista di fede leghista, al quale la precedente commissione, di nuovo in buona misura composta dagli stessi “esperti”, ha offerto addirittura 1 milione di euro, da sommare ai 4 già ricevuti da Raifiction.
Non sorprende, a questo punto, che l’associazione dei 100 Autori sia insorta contro le suddette delibere ministeriali. “Sono queste le scelte che lo Stato deve fare? Anticipare i soldi a imprenditori privati che non ne hanno bisogno? Benvenuto De Laurentiis nel club degli industriali più assistiti d’Italia, non bastavano i milioni di euro sugli incassi” ironizza il regista Maurizio Sciarra, riferendosi ai cosiddetti ristorni, i contributi sui biglietti venduti elargiti dallo Stato ancora con immotivata generosità, nonostante la promessa di riequilibrare i parametri al ribasso.
Lo stesso Verdone s’è detto perplesso di fronte alla richiesta del suo produttore. De Laurentiis, il tycoon puro che detesta la burocrazia e ricorda a ogni piè sospinto di investire soldi propri nel cinema, aveva chiesto ai Beni culturali addirittura 2 milioni e mezzo per “Posti in piedi in Paradiso”. Dopo averne ricevuti già 400 mila per “Amici miei… come tutto ebbe inizio” e altri 400 mila per “Manuale d’amore 3″. “Capisco le ragioni dei 100 Autori, è anche una questione di buon senso. Bisogna aiutare i film più difficili e coraggiosi. Se fossi stato io a decidere, per come mi conosco, non avrei chiesto soldi allo Stato” ha spiegato schiettamente al collega Pedro Armocida del “Giornale”.
C’è da augurarsi, a questo punto, che al ministero varino in fretta, come pure auspica il direttore generale per il cinema Nicola Borrelli, nuovi decreti in materia di finanziamenti pubblici al cinema, in modo da favorire non solo i più forti e potenti. Già, a causa della crisi, le risorse a disposizione sono poche: nel 2011 appena 18 milioni, di cui 10,5 per i lungometraggi di interesse culturale nazionale, 7,5 per le opere prime e seconde. Facciamo in modo, d’ora in poi, almeno di spenderli bene.

Fonte: Dagospia

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